Ieri prima serata con la mia amica Gwineth e la sua troupe, in trasferta da roma per fare dei servizi presso botteghe artigiane piemontesi.
Una serata piacevole, iniziata alle cantine Risso (che hanno tenuto fede alla loro buona cucina, peccato per alcuni casinari che erano nel tavolo dietro al nostro… ) e poi visto che i ragazzi hanno agganciato un paio di tipe fuori dal ristorante, siamo andati al “gran Bar” che per chi non lo sapesse è un posto fighetto vicino alla Gran Madre.
Parlando di varie cose durante la serata è emerso che
– Si sono inventati un “castello di Pianezza” durante le riprese, mentre sono solo poche mura in rovina
– Non riuscivano ad arrivare a destinazione perchè tutti gli dicevano “ma si è a duecento metri…”.
Questo mi da la possibilità di fare una finta digressione sabauda, ovvero come i piemontesi misurano le distanze.
La risposta è “generalmente bene”, sicuramente meglio dei modenesi che nella loro infinita goliardia molto spesso scambiano i cartelli con le distanze chilometriche!
Ma non è questo il punto, il vero problema è che man mano che ci si allontana dai centri abitati, si assiste ad un graduale fenomeno di “barottizzazione”, ovvero ci si mescola con i locali e con le loro abitudini (i barotti).
Quindi come misurano le distanze i barotti (anche quelli acquisiti, italiani del centro-sud, estracomunitari… e’ un fenomeno irreversibile) ?
A causa della lignificazione di parte del cervello (infatti il “barot” e’ il legno) il piemontese riassume le distanze in tre categorie:
– “Belesì”: Si traduce letteralmente in “è Qui”, indica una distanza variabile ma è indicabile con il dito ed è visibile ad occhio nudo in linea d’aria. Secondo l’istituto nazionale di misurazione è una lunghezza che varia da mezzo metro a circa 7 giornate di terreno coltivato a Tumatiche (pomodori). Un pò di meno se si tratta di filari d’uva.
Non importa che ci siano di mezzo 8 burroni e 20 tornanti, perchè è visibile in linea d’aria.
– “Aj sarà mac ‘n dusent meter” (la “aj” si pronuncia “ai”): Ovvero “Ci saranno al massimo 200 metri”. Qui entriamo in puro relativismo (anche Papa Ratzinger e i suoi più fedeli, si sono espressi contro, ma la situazione non pare cambiare). “Dusent meter” è probabilmente un suono dolcissimo per le orecchie piemontesi, tantè che amano dirlo per indicare distanze irragionevoli (più di 8 giornate, ma meno della distanza per arrivare a novara, da cuneo). In generale è un tempo sufficiente per defilarsi ed evitare che le persone a cui si era data l’indicazione, tornino indietro perchè si sono trovate a mezza montagna, su una stradina sterrata, in meno a branchi di lupi e cinghiali.
– “ajè ‘n bel toc!”: (ce n’e’ un bel pezzo) Panico. Il piemontese non ha mai sentito il posto in cui volete andare, oppure pensa che si tratti della mitica terra oltre le montagne, dove ci vanno solo i più ricchi: la liguria. La mimica e la gestualità dividono il piemontese “ca sà ” (che conosce il fatto suo) da quello “ca sà nen” (che non sa nulla).
Il secondo alza il braccio, indica una direzione, muove ritmicamente la mano per indicare di partire al più presto, ma guarda nella direzione opposta (per controllare che lo spazio sia libero da trattori, mucche o zone dove l’esercito fa esercitazioni di tiro d’artiglieria).
Il primo vi guarda, gentilmente vi fa notare che siete leggermente fuori strada, vi dice che però conosce “la strada vecchia” per arrivare prima (una mulattiera su una parete del nono grado che farebbe orrore al più scaltro dei caprioli del Gran Paradiso) e vi manda alla perdizione.
Si, alla perdizione. Non uscirete mai da quella brughiera, tanto vale che iniziate a nutrirvi di nocciole e acqua dei ruscelli.
Mica pensavate che i luoghi comuni fossero falsi ? Il piemontese è falso è cortese. 😉 E cul ca sà l’è pij graam de cul ca sa nen 😉 (no questa non ve la traduco, c’e’ gente che potrebbe uccidermi se rivelo anche questo segreto).
Ancora una cosa: il piemontese, come dialetto, cambia alcune regole ogni 7 giornate di territorio che percorrete. Se andate a piedi potreste non farci caso ma se vi spostate in macchina… avete più possibilità di capire il cantonese quando scendete dall’automezzo.
Attenti a quello che chiedete ai Barotti!!
2 replies on “Prendiamo le distanze Sabaude”
Avendo camminato il Piemonte in lungo e in largo e in alto, chiedendo perlopiù indicazioni ai simpatici locali, posso confermare punto per punto.
Aggiungerei una certa disfunzionalità nella indicazione di direzione (“svolti a destra” – braccio indica a sinistra / “svolti a sinistra” – braccio indica a destra) con conseguenti dibattiti interni sul “se ci si debba fidare dell’indicazione verbale o di quella gestuale”.
Il piemontese di montagna ha inoltre la simpatica abitudine di chiamare “colle” dei bricchi rocciosi alti non meno di 3500 metri con coroncina di aquile sulla vetta, riservando la denominazione “monte” al Rosa e pochissimi altri privilegiati.
Il bello di internet è che è autoreferenziale :rock: